KRITICA CRITICA 2

A pochi il nome di Ramides Venceslao potrà dire qualcosa. Perché, dietro lo pseudonimo, si nasconde un uomo che, di punto in bianco, decise di condurre una vita parallela: il certamente rispettato Visduca di Cambria, Regilio. 

Noto soprattutto per la sua passione smodata per le candele esauste (di cui si vantava di possedere la più ampia collezione dell'intero Vecchio Continente), il Visduca non poteva certo rivelare pubblicamente che il suo hobby fosse la pittura: in Cambria, nel 200, la pittura era ritenuta, per usare le parole del noto storico genovese Pistassi (famosi i suoi scritti di fine settecento), “indenia tra le arti, praticata solo ne le taverne più abiette”.

Dismessi i panni nobili, Regilio quindi si recava ogni notte nel suo studio segreto, nel quale dava sfogo alla sua potenza creativa, potenza che poi serviva in pasto alle genti sotto il falso nome, per l'appunto, di Ramides Venceslao.

Pennellate vistose, arroganti, immaginifiche: questo era il suo stile, come evidente nel qui riportato “Trionfo di paesaggio in crosta”. La purezza di un ambiente natìo affascinante ma nel contempo felino, uno scorrere di poesie mai davvero accarezzate ma soltanto incerte. Il passo del concetto che lascia spazio all'improvviso erompere di una discrepanza, più che vera, dubitabile. Come l'animo umano mal si acquieta se non sovente sollecitato in tal senso, anche l'ambiente degenera in un turbinìo di idee potenziali e mai acquisite alla realtà.

“Trionfo di paesaggio in crosta” (206 a.C), acrilico su armadio, 
Degaudium Antropomorphic Musem, New York.

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